Così definiva il dolore già nel 1986 la IASP, International Association for The Study of Pain, la più prestigiosa Società medica che si occupi di dolore. Questa è la definizione che approva anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Questo è anche quello che provano a spiegare ogni giorno milioni di pazienti a noi medici cercando di farsi aiutare.
Il dolore è un’esperienza.
Come ogni esperienza, il dolore non può essere giudicato dall’esterno. Nessuno può dire al paziente quanto il suo dolore sia intenso, oppure decidere l’ impatto il dolore debba avere nella sua quotidianità. Si deve inoltre considerare che non esiste ancora un esame medico che identifichi il dolore, che ci indichi la localizzazione, l’entità o il tipo del dolore che prova il paziente. Sono tutte fotografie. Radiografie, ecografia, TAC, risonanze, sono tutte fotografie.
I pazienti senza una gamba possono sentire le dita del piede che manca bruciare, ed è così; nessuno dovrebbe obiettare. Il dolore è quello che “può essere descritto in termini di danno”. Non è detto che il danno sia evidente. Non è neanche previsto che il tessuto, il piede, esista. Infatti il “dolore cronico dell’arto fantasma” è un triste realtà. È soprattutto in questi casi che lapproccio psicologico al dolore cronico diventa fondamentale.
Aggiungerei una riflessione: la risonanza magnetica che rappresenta oggi l’apice delle indagini sulla colonna vertebrale (lo stesso credevamo 40 anni fa della TAC), si esegue con il paziente disteso supino su un lettino. Sarete d’accordo che questa corrisponda esattamente alla posizione in cui prendiamo il sole in spiaggia. Veramente si pretende di capire da questo esame, cosa succede alla vostra colonna vertebrale mentre sollevate da terra un bambino per prenderlo in braccio?
Valutazione del paziente con dolore cronico
Questa è la premessa con cui si valuta un paziente in Terapia Antalgica. Gli esami servono spesso per approfondire questioni specifiche, per rispondere a nostre domande: Si sono spostate le vertebre del paziente? Ha un’ernia? Ha la scoliosi? Quanto sono consumate le cartilagini della sua articolazione? Ma qualsiasi sia la risposta dell’esame, nulla ci dice sul dolore.
Nella mia pratica di quasi 15 anni, in 2000 passaggi ambulatoriali e centinaia di interventi all’anno, non ho ancora incontrato due identici pazienti. Ma con le tecniche moderne di Terapia Antalgica, il beneficio sulla qualità di vita dei pazienti arriva sempre. Non è mia intenzioni fare promesse miracolistiche, non esistono i miracoli in medicina, ma la regola è il beneficio.
Quali sono le tecniche che si usano nella Terapia del Dolore?
Tutto parte dalla visita: l’ascolto del paziente, la comprensione del suo dolore cronico, la vista e infine la visualizzazione degli esami. Si formula così un’ipotesi diagnostica. Solo la giusta diagnosi può portare al coretto trattamento.
Infiltrazioni:
Spesso in occasione della prima visita si effettuano prove infiltrative per confermare la diagnosi ed iniziare a offrire beneficio al paziente. Tutte le infiltrazioni si eseguono sempre sotto guida ecografica. La recente evoluzione dell’ecografia della colonna vertebrale, ci permette di effettuare le infiltrazioni mirate anche in questo distretto, senza la necessità di apparecchi radiologici e sale operatorie.
Oltre a contenere così notevolmente i costi e rendere le cure accessibili quasi a tutti, si riesce di norma di iniziare le cure già durante la prima visita. Il ciclo infiltrativo si completa di norma con tre infiltrazioni, a distanza di una – due settimana tra di loro. La ripetizione ha lo scopo di contenere il più possibile l’infiammazione, offrendo al paziente il beneficio più lungo possibile.
Radiofrequenza nel dolore cronico:
Non sempre le infiltrazioni bastano e i motivi possono essere tanti. Per esempio non tutti i dolori sono infiammatori e possono essere curati con l’iniezioni di antinfiammatori. Oppure il dolore può avere più componenti e non essere solo infiammatorio. In questi casi l’applicazione della radiofrequenza trova spesso indicazione. La radiofrequenza è un mezzo: si usa nei forni a microonde, nei telefoni cellulari ma anche in medicina. Nel campo della Terapia del Dolore i modi in cui si usa sono sostanzialmente due:
La radiofrequenza continua produce lesioni termiche. Possono essere così coagulati, bruciati nervi che portano solo ed esclusivamente sensibilità dolorifica di una zona. Non si tratta di un’anestesia di zona, non c’è nessuna alterazione della sensibilità della cute, ma si riduce solo la percezione del dolore di una piccola area. Così per esempio riusciamo a denervare:
- articolazione della colonna vertebrale
- Il disco intervertebrale,
- una zona del ginocchio o dell’anca o della spalla
- un piccolo nervo o un neuroma di Morton
Le due più frequenti preoccupazioni dei paziente sono la perdita di forza muscolare e quello che succede in caso di trauma. I nervi che interrompiamo non sono mai nervi che portano informazioni di forza muscolare. Viene inoltre ricordato che non si tratta di un’anestesia di zona. Quando subentra un trauma o una frattura, il dolore viene trasmesso da tutti i tessuti interessati. Tutto il dolore in questi casi viene purtroppo sentito.
Il trattamento si esegue sotto guida ecografia o radiologica, a seconda del distretto. La radiofrequenza si applica attraverso un ago collegato con un apposito generatore. L’anestesia è solo locale e la quantità di farmaci è minima. Questo fatto ci permette di poter proporre queste procedure a tutti i pazienti, al di là della loro età e delle loro condizioni fisiche.
La radiofrequenza pulsata non danneggia i nervi. Può tranquillamente quindi essere applicata su nervi misti, che trasportano anche informazioni motorie, oppure su nervi sensitivi di distretti in cui non sposiamo sacrificare la sensibilità. Così trattiamo per esempio i
- nervi occipitali nella nevralgia di Arnold,
- le radici che emergono dalla colonna vertebrale nella sciatica,
- il nervo pudendo che innerva tutto il perineo e gli organi genitali.
L’applicazione è identica alla radiofrequenza continua, ma non serve neanche l’anestesia locale, in quanto il trattamento non è doloroso.
La peridurolisi
E’ nata quasi 40 anni fa negli Stati Uniti da un neurochirurgo di nome Racz. Lo scopo è di liberare le aderenze che si creano nella colonna vertebrale nella cosiddetta “sindrome da canale stretto” e demolire almeno in parte le cicatrici che si formano dopo un intervento chirurgico della colonna vertebrale. Non è un intervento invasivo.
Uno strumento sottile si introduce attraverso una naturale apertura dell’osso sacro. La guida radiologica e l’iniezione di una minima quantità di mezzo di contrasto ci permettono di individuare la zona in cui il liquido non arriva, occupata da aderenze o da cicatrici. Arrivando con lo strumento all’interno di queste zone, iniettando localmente farmaci che liberano dalle aderenze e nelle settimane a seguire sciolgono progressivamente le cicatrici, riusciamo ad ottenere il beneficio desiderato.
Nella sindrome da canale stretto i pazienti presentano una difficoltà nel camminare, sentono le gambe “pesanti” e la distanza che percorrono è limitata. Nella sindrome post-laminectomia invece, il dolore dopo intervento della colonna vertebrale, spesso oltre al mal di schiena il paziente lamenta dolore alle gambe oppure stitica. Non di rado quindi, alla Peridurolisi associamo le radiofrequenza pulsata per controllare la sciatica.